Le Nazioni Unite e la decolonizzazione all’interno della Guerra Fredda: tra principi di diritto internazionale e ambiguità. Somalia (1950), Congo (1960) e Sahara Occidentale (1975)

Presidente: Francesco Tamburini,Università di Pisa

Relatori
Mariangela Barbarito (Università di Pisa), L’ONU e la mancata decolonizzazione del Sahara Occidentale: una ferita ancora aperta
Alessia Tortolini (Università di Pisa), AFIS (1950-1960). Amministrazione fiduciaria o colonia?
Lorenzo Vannoni (Università di Pisa(, Le Nazioni Unite come strumento delle Superpotenze: la decolonizzazione del Congo (1960)

Discussant: Alessandro Polsi (Università di Pisa)

PRESENTAZIONE

È un dato di fatto assodato in sede storiografica che la struttura delle Nazioni Unite creata alla Conferenza di San Francisco del 1945 fu un compromesso tra le diverse volontà dei paesi usciti dalla Seconda guerra mondiale e nello specifico l’idealismo statunitense, i principi dell’internazionalismo comunista dell’Unione Sovietica e ciò che rimaneva dei vecchi imperi coloniali, ovvero Francia e Gran Bretagna. Tutto ciò si riverberò inevitabilmente nell’approccio verso quel fenomeno inarrestabile che fu la decolonizzazione, il quale mise in evidenza le incongruenze e, in alcuni casi, l’inefficienza delle Nazioni Unite di fronte a questo problema. Il panel intende comparare tre diversi case studies nei quali l’ONU ha assunto atteggiamenti differenti, adattando i suoi principi al contesto geografico e cronologico, ovvero a situazioni contingenti spazio-temporali. Nel caso somalo le Nazioni Unite si trovarono ad applicare l’istituto del Trusteeship affidando la gestione della transizione verso la futura indipedenza ad una potenza uscita sconfitta dal Secondo conflitto mondiale, però con sedicenti esperienze di governance coloniale in Somalia. Il tutto in una logica di ridistribuzione e concertazione neo-coloniale che non tenne conto della volontà della popolazione locale, assai contraria al ritorno italiano in Somalia, con il risultato che l’esperienza italiana del Trusteeship si concluse più con ombre che luci. Nel Congo appena indipendente le Nazioni Unite si trovarono di fronte ad una delle prime gravissime crisi della decolonizzazione africana, nella quale intervennero pesantemente gli interessi contrapposti di Stati Uniti e Unione Sovietica in un mondo bipolarizzato, non riuscendo a gestire un conflitto tramutatosi quasi in una proxy war nella quale i meccanismi di peace-keeping si dimostrarono inefficienti. La situazione del Sahara Occidentale fu ancora diversa e non solo temporalmente, in quanto si trattò dell’abbandono del territorio non-autonomo da parte della Spagna, potenza amministratrice che decise di stipulare un accordo con Mauritania e Regno del Marocco, affidando il territorio a queste due nazioni. Una situazione che creò i presupposti per l’avvio di un conflitto tra indipendentisti saharawi e eserciti marocchino e mauritano che si sarebbe prolungato sino al 1991, ma che si è trascinato sino ai giorni nostri senza una conclusione definitiva che possa soddisfare le istanze di autodeterminazione del Sahara Occidentale. Tutto ciò senza che le numerosissime risoluzioni dell’Assemblea Generale trovassero reale applicazione e senza che la missione di peacekeeping a guida ONU non fosse che di mera presenza fisica. 1950, 1960, 1975: tre casi diversi, in epoche e territori africani diversi, ma con uno stesso denominatore comune, ovvero la difficoltà intrinseca delle Nazioni Unite nel far valere i suoi principi base, ovvero l’autodeterminazione dei popoli, il benessere e lo sviluppo dei paesi non-autonomi e il mantenimento della pace. Principi per cui il “Palazzo di vetro” è rimasto prigioniero dei vincoli più o o visibili imposti dalla sua struttura (vedasi il diritto di veto dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza), così come della natura perversa della realpolitik all’interno della Guerra fredda.